Sono passati quattro anni da quel terribile accaduto.
Come si fa a dimenticare tutto ciò? Come si mettono “in silenzio” le sensazioni rimaste sotto pelle? Io non riesco.
Ricordo di essermi svegliata con le urla di mia madre, il rumore di bicchieri, lampade e bottiglie che andavano in frantumi e sentivo un gran boato provenire dall’esterno, la gente urlava.
Mia madre, senza riflettere un attimo, uscì impulsivamente, lasciandomi in casa. Mi urlava di uscire, senza rendersi conto della mia situazione.
Poco dopo, per fortuna, arrivarono i miei vicini di casa che mi diedero una mano a mettermi in carrozzina e ad uscire fuori.
Ricordo come fosse oggi il fatto che, davanti al cancello, c’erano un po’ di persone sanguinanti che chiedevano aiuto perché i loro bambini erano rimasti ai piani superiori.
Sono stata sul ciglio della strada per ore, le macchine erano completamente impazzite. Ovviamente, le persone volevano arrivare a casa nel più breve tempo possibile per vedere le condizioni dei loro cari e delle loro abitazioni.
Mi sono messa nei loro panni per qualche secondo e, sinceramente, sono stata da cani. Avere i figli a scuola e non sapere quali siano le loro condizioni, non riuscire a rintracciare un genitore od un famigliare, terribile. Le linee telefoniche non andavano e non c’era nessun modo per avere notizie.
Rimasi ore davanti a casa, inerme ed incredula.
Vedevo passare persone completamente terrorizzate, ovviamente. Le scosse non mollavano e negli occhi delle persone leggevo una paura indescrivibile.
Pianti, urla, persone aggrappate alle macchine, ai cancelli, vedevo persone rischiare la propria vita per recuperare il minimo indispensabile per partire, senza nemmeno chiudere casa.
Dov’era la vita in quel momento? Perché stava succedendo tutto questo?
Poco dopo, a me e alle persone che avevo accanto, giunse la voce che era morto il nostro parroco. Era rientrato in chiesa per recuperare la statua di una madonnina a cui teneva tanto e, in quell’istante, è arrivata una nuova scossa che ha fatto cadere una trave proprio sopra di lui. Ero senza parole. Mi sentivo impotente, sola, mi sentivo in balia della natura che ci stava mettendo in ginocchio, tutti. Nessuno sapeva come fare e nessuno aveva il potere di contrastarla.
Vedere le persone in lacrime, per strada, disperarsi perché avevano perso tutto era straziante. Non avevano più casa e luogo dove lavorare. Tutto ciò faceva riflettere.
Si lavora una vita intera per costruirsi un futuro e per cercare di assicurarlo ai propri figli, si lavora sodo per costruire la propria casetta, il proprio posto di lavoro, insomma, per crearsi qualcosa di proprio e, in pochi secondi, il tutto viene distrutto da un fenomeno naturale.
Indotto o meno.
Una vita fatta di sacrifici, rinunce, sudore, lacrime, per poi ritrovarsi con il nulla in mano.
Persone che dovevano pagare un mutuo di una casa che non c’è più, senza poter lavorare. Assurdo, vero? Eppure era quello che stava accadendo, quel giorno.
Verso le 13 ci furono più scosse ravvicinate che, all’apparenza, sembrava una enorme.
Io ero appena rientrata nel mio giardino per poter stare un po’ all’ombra, ma non feci in tempo.
La carrozzina tremava, le persone urlavano, cercavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa trovassero. In quel momento, giuro, credevo che la vita stesse finendo. Mi sembrava di essere in uno di quei film che si vedono solo alla televisione e che senti sempre molto distanti da te.
Furono minuti interminabili, dove la vita passò davanti a tutte le persone.
Tutt’oggi non riesco a descrivere in ordine cronologico tutto ciò che accadde, ma credo di rendere l’idea ugualmente.
La sera, io, mia madre e mia nonna, insieme ai miei due cuccioli, andammo a dormire in un furgone.
Nei giorni seguenti tutti si mobilitarono per la costruzione di tende, per riuscire a racimolare cibo e distribuirlo alle persone che non riuscivano a procurarselo da sole. Non si sapeva quanto tempo si sarebbe dovuti stare in quella situazione e bisognava prendere provvedimenti, di ogni tipo.
Tante persone sono partite per andare nelle loro case al mare, al lago o in montagna, altre si sono informate per avere roulotte o un container.
Durante il giorno passavano i carretti con i cibi essenziali e l’acqua mentre, la sera, i ragazzi del paese si erano organizzati nel fare i turni per la ronda. Ebbene sì, avendo le case aperte, c’era anche il fenomeno degli “sciacalli”. Ricordo che in certe sere si è sentito anche qualche sparo. Sembrava di vivere nel Bronx.
Non solo si aveva perso tutto quanto, ma le persone che avevano ancora le case “su”, malmesse, dovevano stare attente a non subire furti. Incredibile.
Il mio paese era completamente devastato. C’erano zone delineate come rosse per il rischio di un’esplosione ed i vigili del fuoco erano sempre in allerta, per noi.
Per un periodo di tempo abbiamo avuto anche i militari in giro per le strade.
Descrivere adesso quello che ho provato quattro anni fa è veramente difficile perché riaffiorano sensazione terrificanti.
Senza tener conto che io sono stata una delle persone più fortunate del paese, tralasciando la mia condizione da diversamente abile.
Vie completamente rase al suolo, palazzine ripiegate su se stesse, negozi completamente distrutti. Un incubo, ad occhi aperti.
Per fortuna la nostra gente non molla ed in pochi giorni avevano messo tende, brandine ed altre cose che potessero, almeno un po’, aiutare.
Io continuai a dormire nel furgone per tre settimane, per poi passare ad una tenda dove, alle sette del mattino, non si riusciva più a stare dal caldo. Adesso, a posteriori, è stato meglio così. Se avesse piovuto tutto il tempo sarebbe stato il disastro sul disastro.
Ricordo che, per quanto mi riguarda, non c’era più distinzione tra giorno e notte. La paura teneva svegli e, ad ogni minimo rumore, ci si ritrovava tutti nelle proprie vie. Ogni spostamento di foglia creava allarmismo. Tremava l’anima, il cuore e la testa.
Non c’era più niente di sicuro! Com’è possibile?
Così passarono i giorni, le notti, le settimane e i mesi. A distanza di tempo c’erano ancora scosse di assestamento, e continuavano a spaventare tanto.
Oggi, il mio paese, sta rinascendo. Lo sta facendo da tempo con gran dignità. In aiuto ci sono venuti gli alpini, del Trentino. Essi, per noi, sono degli angeli terreni. Oltre ad aver aiutato tanto il paese materialmente, lo hanno fatto anche moralmente. Si sono create amicizie spettacolari che, sono sicura, andranno avanti per sempre. Sono quei rapporti che si creano nel vero momento di bisogno, dove esce il proprio io, nudo e crudo. Dove le persone si conoscono davvero, senza abbellimenti e arricchimenti.
Vi sono palazzi ricostruiti, case messe a nuovo, aziende rinate, negozi ricomposti e rifatti. Però, mannaggia, esiste ancora la realtà dei moduli abitativi. Purtroppo, lo Stato, non ha tempistiche veloci nell’aiutare le persone. (Tralascio il mio pensiero su questo argomento, è meglio.)
Ci sono persone che attendono ancora ciò che spetta loro per diritto. Sembra uno scherzo, vero? Eppure è così. Quando è ora di prendere, lo si deve fare con scadenze ben precise, ma quando si deve dare… Beh, si può attendere, no?!
Credo che come ci sono i doveri ci siano anche i diritti e dovrebbero essere rispettati nei tempi adeguati.
Il paese, dal 2012, si è sfollato, anche se pian piano qualcuno lo stiamo recuperando!
Riusciremo a tornare alla normalità? Non lo so, ma sono sicura che ci stiamo provando. Noi emiliani ce la stiamo mettendo tutta per riavere la quotidianità di un tempo.
Mi rendo conto che molto spesso ci si lamenta, io per prima, di ciò che si ha o non ha, ma quando accadono queste cose si capisce che basterebbe ringraziare e basta.
Bisognerebbe ritenersi fortunati ad avere una buona salute, una famiglia con cui condividere la vita ed un posto dove stare e lavorare. Che già tutto questo, a mio avviso, non è poco. Anzi.
Quando si ha la fortuna di avere tutto, purtroppo, ci si lamenta più di quelli che hanno molto meno. Forse perché non si riflette realmente su cosa è importante davvero nella vita.
Io questa storia l’ho vissuta dentro ad un furgone, poi in una tenda ed, infine, tornando in casa perché sì, ne avevo le possibilità. La paura andava messa da parte. Persone, al mio posto, avrebbero pagato per poter tornare nella loro casa, anche con il terrore. Quindi mi decisi a tornare dentro, tenendo sempre le porte aperte.
Rovereto c’è e ci sarà sempre. Sono estremamente orgogliosa di aver visto i cambiamenti che ci sono stati in questi quattro anni. Le persone non si sono date per vinte e hanno lottato, con le unghie e con i denti.
La vita. Una parola, composta da quattro lettere, da un significato immenso. Una natura che ci ha fatto capire la sua potenza dimostrandoci che, noi umani, non siamo niente al cospetto di essa.
Ed è così, purtroppo. Che noi lo vogliamo accettare o meno.
Con questo mio articolo volevo ringraziare anche tutte le persone che hanno contribuito alla crescita di Rovereto, o meglio, alla sua rinascita. Alle persone che non hanno esitato a dare un aiuto, che hanno porto una mano senza esitare un secondo per affrontare il tutto insieme.
Mi auguro che con il tempo ci siano sempre più miglioramenti così da riavvicinarci, sempre di più, a quella che era la nostra realtà prima di quel maledetto 29 maggio 2012.
Un pensiero va a tutte le persone che tutt’ora non hanno trovato stabilità e che stanno, ancora, cercando di rimettere in sesto la propria vita. Inoltre, questo pensiero arriva anche lassù, da Don Ivan e dalle persone che hanno perso la vita in questo terribile avvenimento.
Teniamo botta.
Ele ♡
No Comments