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Buon 24º anniversario a me!

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Il 30 gennaio è stato il mio 24º anniversario dell’accaduto.

C’ero, una volta. Adesso ci faccio. Dovrei iniziare così la storia della mia vita.
Nonostante siano passati così tanti anni non ho ancora una vera e propria diagnosi, ma in questo tempo trascorso ho sempre avuto l’idea che quando la mente ha iniziato a correre molto più forte delle mie gambe, la vita ha deciso di farmi sedere su un trono, scomodo, ma pur sempre di questo si tratta.
Quando penso a questi 24 anni mi sembra che siano volati, mentre se mi focalizzo su tutte le cose successe, credetemi, mi rendo conto che ogni secondo è durato una vita intera.
Nel giro di 10 minuti, contati, mi è cambiata la vita: non ero più la stessa. Non ho avuto il tempo di dire arrivederci all’Eleonora che sono stata per 13 anni, non sono riuscita ad abbracciarla e a dirle che sarebbe andato tutto bene, in ogni caso. Senza poi sapere che quell’arrivederci sarebbe stato, in realtà, un addio. Ci sono giorni in cui mi chiedo se è successo veramente a me, se ho affrontato davvero io tutto questo caos, esteriormente ed interiormente, poi basta guardarmi e ogni dubbio si toglie da sé. Ormai racconto la mia storia come se fosse accaduta a qualcun altro, a differenza di prima che facevo fatica solo a toccare l’argomento. Ho passato più di un anno lontano da casa, dove gli ospedali erano diventati il mio “porto sicuro”, tanto che quando a Piacenza mi dissero che mi avrebbero dimessa, mi sono fatta venire la febbre. Non volevo tornare alla realtà di un tempo, non volevo affrontare quello che non mi apparteneva più, quello che ormai sentivo lontano da me e che mi faceva ancora tanto male, troppo.
Le persone che mi conoscono bene sanno che sono sempre stata lucida, tranne quando arrivò l’ambulanza per andare in ospedale a Carpi, dunque ho perso una decina di minuti. Beh, la cosa di cui non riesco a capacitarmi è il fatto che io non abbia realizzato immediatamente la gravità della situazione, ma che mi sia affidata alle parole del medico di base che mi disse che era solo una “piccola congestione” e che sarebbe passata nel giro di poche ore. Ero su una barella, completamente immobile, piena di cateteri e non avevo la minima idea di cosa mi stesse succedendo. Il tutto si fece più chiaro quando vidi quella che sarebbe diventata la moglie di mio fratello piangere a dirotto. Il pensiero fu subito: “ma perché piange così? Allora c’è qualcosa che non va di più sul serio!”. Di lì a poco mi tagliarono i vestiti di dosso senza muovermi di un centimetro e mi buttarono dentro la risonanza per poi mettermi subito in rianimazione ed il tutto divenne più cristallino.

Sono arrabbiata con la vita, sì, ancora oggi. Credo che questo sentimento non passerà mai, come le cicatrici che mi porto dentro, quelle che fanno un male tremendo. All’età di 13 anni qualsiasi bambino dovrebbe essere spensierato, dovrebbe giocare con i propri amici, affrontare le prime esperienze, mentre io mi sono ritrovata in mezzo a risonanze, tac, elettromiografie, elettroencefalogrammi, cateteri, sonde e quanto altro. Addirittura, in rianimazione dovettero spostare la macchina che teneva monitorati tutti i parametri perché avevo imparato il suono di qualsiasi cosa e appena c’era un minimo cambiamento mi allertavo e dunque l’unica soluzione per farmi stare più tranquilla era quella di allontanare quel maledetto aggeggio che, in fin dei conti, mi teneva compagnia durante la giornata.
Ho vissuto i vari step dei miei anni tramite i racconti dei miei amici, in cui dovevo far vedere di essere contenta, ma poi quando si chiudeva la porta inevitabilmente scendevano le lacrime. Non ho mai visto il motorino, la patente, i primi amori in età adolescenziale, le prime serate fuori con gli amici e così via. Tutto mi veniva riportato ed io non potevo fare altro che incassare.
Insomma, tutto d’un tratto non mi sono mai più sentita la padrona del mio corpo ma l’inquilina ed esso aveva deciso di cambiare serratura e rinnovare il tutto, senza chiedermi il permesso.
Mi chiedo chi sarei diventata senza questo peso che porto e allo stesso tempo mi chiedo chi diventerò con questo. Non dirò mai grazie a quel giorno perché mi ha tolto la mia adolescenza, mi ha strappato l’indipendenza e la vita tra le mani. Mi ha portato via l’utilizzo delle gambe, delle braccia e, a quel tempo, anche delle spalle e del collo. Però posso dire di aver imparato tanto e solo passando attraverso la sofferenza si riesce ad avere una consapevolezza diversa rispetto a tante cose.
Posso dire di essere stata fortunata perché in questo tragitto, soprattutto a Villanova, ho incontrato compagni di viaggio spettacolari che hanno alleggerito il tutto, come anche le infermiere ed i dottori. Come ho scritto prima, per me quell’ospedale era casa. È vero, ogni giorno era sempre scandito dalla solita routine, ma che alla fine mi andava bene. Non c’erano pregiudizi, non c’era discriminazione, non c’era vergogna nel raccontare ciò che ci faceva stare male e ciò che ci accadeva. Eravamo tutti sulla stessa barca, e cercavamo insieme di non farla affondare. Ha dei ricordi bellissimi di quel posto e di quelle persone, sono state un’ancora di salvezza in un momento dove nemmeno io sapevo più chi ero e mi ritrovavo sull’orlo di dare di matto. Mi ero fissata sul voler costantemente la presenza di mio fratello in ospedale, quando la domenica mi portava lì e poi doveva tornare a casa per me era una pugnalata al cuore. Ero abituata a dormire con lui, sebbene ognuno avesse la propria stanza, avevamo messo due letti nella sua per stare insieme e tutto questo mi mancava. Non volevo condividerlo con nessuno ed era diventata una lotta, purtroppo, anche con la moglie di mio fratello. L’ho fatta stare male tanto e, se ci penso ancora ora, mi do della stupida perché in quegli anni lei mi ha fatto da sorella. Se avevo una trousse per potermi truccare era grazie a lei, non mi faceva mancare il paio di scarpe particolari o la maglietta alla moda, nonostante in quel periodo me ne fregasse relativamente di ciò che portavo addosso. Non posso che chiedere scusa a lei un ulteriore volta per tutto questo ed a mio fratello per avergli rovinato non so quanti compleanni, dal momento in cui il giorno in cui mi è successo è quello seguente al suo compleanno, dunque partivo almeno tre giorni prima a piangere disperatamente. Ero in rivolta con tutto e con tutti, in primis con il mio involucro. Dopo, però, sono riuscita a capire quello che stavo combinando e sono tornata sui miei “passi”. Potrei stare qui a raccontarvi tantissimi aneddoti e credo che prima o poi metterò nero su bianco tutto ciò che mi è accaduto, tutte le esperienze vissute e le sensazioni provate in questi anni.

Gli ultimi sei/sette anni mi hanno messa a dura prova, anzi, durissima. Ogni anno mi ripetevo che non poteva andare peggio di così e, invece, la vita mi ha dimostrato che mi stavo sbagliando, ho avuto complicanze fisiche, abbastanza pesanti che mi hanno poi portata a soffrire tanto psicologicamente. Sfinita, persa, stanca, arrabbiata col mondo intero, ho pensato tante volte di chiudere questo cerchio, ma sono sempre riuscita a ritrovare un motivo per andare avanti, anche quando magari non c’era. Ho iniziato a comprendere che stavo soffrendo di un problema alimentare da diversi anni che poi, in un secondo momento, si è manifestato nella maniera opposta e ad un certo punto si è palesato facendomi capire quanto la mente sia molto più forte del fisico. Se fino a quel momento ho sempre avuto a che fare con problemi fisici, da li ho iniziato a capire cosa volesse dire avere un nemico che è continuamente presente nella testa e che mi rema contro, è come avere un pappagallo sulla spalla che continua a parlare e quando tu provi a distrarti, a fare la cosa giusta, lui ti riporta sulla via sbagliata, su quella dei sensi di colpa e verso tanti comportamenti disfunzionali che non sto a elencare. È una continua lotta tra mente e corpo che, sostanzialmente, non comunicano più, o meglio, non vanno più d’accordo. Tutto ciò è ben lontano dagli attacchi di panico di cui ho sofferto e soffro tuttora, perché quelli non ti portano a mettere a rischio la tua vita e i tuoi organi, ma con una pastiglia o con qualche goccia prese nel momento più acuto si placano, mentre questo non molla la presa nemmeno sotto tortura. È una presenza costante che occupa la maggior parte dei pensieri e che ti porta a fare cose che non avresti mai pensato di mettere in atto.
Credo fermamente che tutto ciò sia solo una conseguenza di tante cose messe insieme che non ho metabolizzato come avrei dovuto, che non ho affrontato con le persone giuste e, soprattutto, nei modi adeguati, poi sicuramente influiscono anche tante altre cose, ma di base penso, anche se non posso saperlo con certezza, che ci sia molto di questo.

Adesso sono cresciuta, vado per i trentotto anni, ho una visione completamente diversa della vita, con il tempo il mio carattere si è forgiato, ho capito cosa voglio, ma soprattutto cosa non voglio più. Sono arrivata ad un grande traguardo, ovvero quello di accettare di essere caratterialmente la fotocopia di mio padre, ho sempre sostenuto che inizialmente il paragonarmi a lui mi infastidiva all’ennesima potenza, mentre adesso assolutamente no, probabilmente devo dire grazie a questo tipo di carattere, perché se fosse stato diverso non avrei affrontato tante cose, ma avrei mollato molto prima. Ci sono persone che facilmente giudicano il mio dentro, il mio modo di esprimermi, il mio carattere non propriamente malleabile e tranquillo, ma vorrei vedere loro trovarsi sull’orlo della morte, più volte, vorrei veder loro affrontare le cose che ho attraversato io, nel mio stesso modo, con quello che avevo in quel momento e solo allora, se il tragitto è stato identico, possono permettersi di additare o giudicare. Facile farlo quando nella vita, bene o male, le cose vanno, quando si ha avuto una famiglia solida alle spalle, quando le cose da affrontare non sono state così pesanti. Il mio non è un giustificarmi, anche perché ad oggi vado fiera di quella che sono dentro e credo che se fossi diversa non sarei qui a scrivere, ma è semplicemente un cercare di aprire gli occhi alle persone che preferiscono buttare lì frasi senza pensare a cosa c’è stato e a cosa c’è dietro tuttora.

Se mi guardo indietro, non mi riconosco. Accettavo di tutto piuttosto che rimanere da sola, ero sempre disponibile verso tutti, facevo fatica a dire di no o a mettere dei paletti, basavo molte cose sulle aspettative degli altri e sulla loro presenza nella mia vita, tanto da mettere da parte anche il mio volere. Un esempio stupido di ciò che non farei mai più nemmeno sotto tortura è quello di aver organizzato un compleanno in funzione di certe persone (data, luogo, menu…) per poi sentirmi dire il giorno prima che non ci sarebbero state. Da quel momento ho chiuso determinati rapporti, e solo dopo mi sono resa conto che erano a senso unico: nessun messaggio per sapere come stessi, se avessi voglia di fare un aperitivo, quattro chiacchiere o cose simili, niente di niente, lì mi sono resa conto, ancora di più, di quanto fossi scontata e di come mi ero ridotta a zerbino. No, non ero io quella che volevo essere in realtà ,non sono mai stata così da piccolina, figuriamoci dopo. Le situazioni di questo tipo, e parlo della mia, giocano brutti scherzi ed io ci ero caduta in pieno.
Non sono l’Eleonora di ieri, tantomeno quella di qualche anno fa. Quando hai tempo da guardarti dentro, tutto cambia. Non ho mai avuto paura di farlo, anzi, sono sempre stata una persona che, seppur molto impulsiva, sotto questo punto di vista sono sempre stata molto riflessiva, fin troppo, ho scavato dentro me stessa più e più volte, per trovare risposte e per conoscermi meglio. Credo negli ultimi anni di aver fatto un buon lavoro, ma per quanto mi riguarda non è ancora abbastanza, voglio davvero diventare la migliore versione di me stessa, cercando soprattutto di andare oltre ai limiti mentali che, spesso, mi hanno fatta sentire al sicuro, ma che in realtà mi hanno solo intrappolata.

Scritto ciò, buon ventiquattresimo anno a me, e sperando che vada tutto bene, ci si ritrova l’anno prossimo per le nozze d’argento.

Un giorno alla volta, un pensiero alla volta, una cosa alla volta.
Io in primis, nonostante tutto quello che mi è successo, alle volte dimentico quanto sia facile perdere la vita e quindi lo dico a me stessa, ma anche alle persone che mi stanno a cuore: vivete al massimo ogni secondo, perché nessuno ve lo restituisce, ieri è passato, domani è incerto, oggi, per quanto la vita possa essere dura, è comunque un dono, si chiama “presente” per un motivo, no?

Grazie a chi è arrivato fino a qui ed ha condiviso con me i miei pensieri, le mie sensazioni e grazie alle persone che nella mia vita reale mi hanno spronata, supportata e sopportata fino ad ora.

Buon ventiquattresimo compleanno a me.
Sono fiera delle consapevolezze che ho acquisito in tutti questi anni e voglio continuare su questa strada, nonostante tutti i nonostante.

💗

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